Parlare di diversità, equità e inclusione è fondamentale.
Ma nel tempo, un’altra domanda diventa ancora più cruciale: funziona quello che stiamo facendo?
Perché una strategia DEI (Diversity, Equity & Inclusion) non può fermarsi ai buoni propositi. Va misurata, monitorata, corretta.
Ma come si valuta l’efficacia di qualcosa di così culturale, profondo, umano?
Le buone intenzioni non bastano
Organizzare una formazione sull’inclusione, pubblicare un post per il mese del Pride o aggiornare il linguaggio aziendale sono azioni importanti.
Ma per sapere se stiamo realmente facendo la differenza, serve qualcosa in più: indicatori chiari, confrontabili nel tempo, che misurino l’impatto.
Non si tratta di ridurre l’inclusione a una tabella Excel. Si tratta di darle struttura, direzione, concretezza.
Quali KPI per le strategie DEI?
Ecco alcuni indicatori qualitativi e quantitativi utilizzati da molte organizzazioni:
👥 Diversità nel team
- Percentuale di donne, persone LGBTQIA+, persone con background multiculturali o con disabilità in ogni livello aziendale (non solo nei ruoli junior).
- Rapporto tra assunzioni totali e assunzioni da gruppi sottorappresentati.
📈 Retention e promozione
- Tasso di abbandono o uscita volontaria, analizzato per gruppi.
- Percentuale di promozioni e avanzamenti di carriera distribuiti equamente.
📊 Survey sul clima inclusivo
- Percezione di equità, rispetto e ascolto da parte dei dipendenti.
- Sentimento di appartenenza (“Mi sento valorizzato/a in questa azienda”).
🧠 Formazione e consapevolezza
- Numero e frequenza di corsi DEI erogati.
- Percentuale di partecipazione.
- Cambiamenti di comportamento osservabili (prima/dopo la formazione).
📢 Impatto nella comunicazione e nel brand
- Analisi del linguaggio usato nei canali ufficiali.
- Varietà e inclusività delle immagini e delle testimonianze.
- Engagement del pubblico rispetto a contenuti DEI.
Oltre i numeri: l’importanza della lettura qualitativa
I dati da soli non bastano. Vanno interpretati nel contesto.
Un KPI positivo non significa per forza che tutto funzioni: potrebbe riflettere un impegno iniziale ma non una cultura consolidata.
Al contrario, una survey negativa può essere un segnale prezioso per avviare un dialogo vero.
L’ascolto profondo, la coerenza e la volontà di migliorare sono le basi per rendere i dati strumenti di cambiamento, e non solo di rendicontazione.
Avere indicatori DEI non serve solo per il report annuale. Serve per capire, correggere e crescere.
Per evitare che l’inclusione resti una parola vuota.
Per dimostrare, con i fatti, che il cambiamento è in atto.
E per ricordarci ogni giorno che l’inclusione non è un traguardo, ma un percorso da misurare con attenzione, ascolto e responsabilità.